Il metodo della parola

L’educazione all’ascolto e la valorizzazione della vita 

Il Dr. Ruggero Chinaglia, a Padova, basa la sua attività sul metodo analitico e sulla cifrematica. 

Per disporsi all'esperienza della parola è necessaria la domanda per cogliere il progetto di vita e stabilire il programma.  
Per capire di più l'attività e la nozione di cura legga la sezione sottostante.
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La questione della cura

Il comportamento è invocato per la riduzione all’identico del gesto, dell’atto, dell’intervento, nonché per l’abolizione del disturbo dalla memoria e dall’esperienza. Ciò va in direzione dell’abolizione della ricerca e della cifra.

Con l’egemonia del discorso che esige il livellamento comune, la cura è diventata dunque il processo rieducativo che deve mirare all’accettazione della distribuzione del male secondo le origini. La cura deve celebrare l’obbedienza del soggetto alla sostanza regolatrice, ovvero la sostanza che viene dall’origine, posta nell’encefalo. 

L’encefalo è rappresentato dalla cosiddetta scienza moderna come il supporto dell’origine di tutti i viventi: ecco perché ogni malattia è ricondotta a malattia mentale, sacramentale, la quale dev’essere, sostanzialmente, trattata a livello medico. 
A questo è rivolta l’impostazione attuale, che attribuisce anche alle emozioni una natura fisica, un aspetto concreto. La stessa felicità è concreta e fisica, e si ottiene attraverso varie sostanze tra cui anche i mediatori chimici: secondo questo concetto i cibi non sono più solamente afrodisiaci, bensì rappresentano degli autentici portatori di benessere e felicità, principi su cui la dieta viene stabilita. 
La dieta lotofagica, secondo cui ognuno “mangia il cervello ideale” attraverso le sostanze che già nel cervello, assicurano felicità e benessere, e così deve essere la cura: drogologica, ovvero capace di produrre felicità attraverso le sostanze produttrici di essa stessa. 

La felicità è d’obbligo; il miraggio e la promessa corrispondono alla felicità, non più alla salute.  

La cura e i suoi principi

La cura ideale è finalizzata all’atarassia, all’apatia, all’adiaforia: tre modi dell’indifferenza, della sufficienza, fondamentalmente tre modi dell’appartenenza al nulla e ai suoi principi. 
Per questo la cura mira a ottenere l’abolizione del lutto, l’abolizione del dolore e del trauma, e dev’essere redentiva, come una sorta di espiazione o catarsi. 
La malattia in quanto affezione mentale giustifica il male, e può consentire la guarigione con le varie purgature; non allo stesso modo invece sarebbe garantita la riabilitazione del criminale attraverso la rieducazione carceraria. Ma i crimini, soprattutto i più efferati, contraddicono il comune fine di bene, e dunque devono essere giustificati dalla malattia mentale che assicura l’impunità. 
Anche la volontà può ammalarsi, perché è fisica, encefalica, emozionale. 
Sarà interessante leggere, a tal proposito, il dispositivo della sentenza del famoso “caso del tallio”, l’avvelenamento programmato di tutta la famiglia da parte di un suo esponente, riconosciuto incapace di intendere e volere e quindi assolto, e obbligato alle cure psichiatriche senza scadenza. Fino a quando sarà necessario. La cura all’ergastolo, come condanna alla cronicità.
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